Il pensiero di Corrado Ocone            –

Fare cultura ed essere schierati a destra, o meglio essere contrari alla cultura di sinistra dominante, non è facile.

Non mi riferisco ora ai noti problemi connessi a quella che chiamiamo “egemonia culturale” e al “doppiopesismo” che essa comporta, su cui tante volte mi sono soffermato anche su questa pagina. Ma ad un rischio tutto interno che corrono i cosiddetti “intellettuali di destra”: quello di riproporre col segno cambiato, in un gioco tendenzialmente a somma zero, gli stessi stilemi di pensiero e le stesse modalità di espressione degli “intellettuali di sinistra”.

A poco vale predicare, come fa un caro e simpatico amico, che la Rivoluzione francese è all’origine di tanti guai, e che quelle del Novecento ne sono in qualche modo il compimento, se poi ci assumiamo sulle nostre spalle le stesse “perversioni”: l’uomo di cultura concepito come “intellettuale militante”, la delegittimazione morale dell’avversario, lo sbracamento lessicale, il più o meno velato incitamento alla violenza, l’uso politico della storia per “amor di tesi”. Tutte idee ampiamente sperimentate a sinistra, anche un tempo in quella oggi di governo.

Per non parlare poi dell’amore per manifesti, appelli, manifestazioni di piazza: tutti strumenti elaborati a manca e assunti a dritta pedissequamente. Strumenti di una “rivoluzione permanente”, seppur “conservatrice”.

Come a dire: a brigante, brigante e mezzo.

Capisco bene che, senza questa forzatura, l’azione politica sarebbe forse inefficace o meno efficace, ma mi chiedo se, da intellettuali cultori del “pensiero difforme” o “non conforme”, il nostro compito non sia proprio quello di provare a mandare gambe all’aria il tavolo su cui ci è stato imposto di giocare.

D’altronde, un conservatore è per definizione un uomo di saldi principi ma tranquillo e sereno, quasi disincantato. Egli non ama la folla, ma nemmeno le “élite”, perché esse, in età moderna soprattutto, hanno dimenticato, al contrario dell’uomo semplice, che la tradizione non è altro che un serbatoio di esperienze, abitudini, saggezze acquisite e sedimentatesi nel tempo e che non possono essere cassate con un tratto di penna.

Alla (pseudo) cultura delle élite, egli preferisce la saggezza del “popolo”. Che però teme quando fa e diventa “massa”. Tocqueville, liberale e conservatore al tempo stesso, diceva di avere per la democrazia un “gusto della mente” ma di essere un “aristocratico per istinto”.

Questo tipo di liberale ha senso storico e senso della politica, ed è fondamentalmente scettico. In prima istanza, di fronte al Potere e ai poteri, compreso quello oggi pericolosissimo dell’opinione (pseudo o semi) colta comune.

Giuseppe Prezzolini, il più grande conservatore italiano del Novecento, amava definirsi appartenente all’ideale “società degli apòti”, cioè di coloro che non se la bevono.

Il conservatore e il liberale vive perciò un dilemma che nasce da una doppia consapevolezza: sapere che la partita politica (e soprattutto della comunicazione politica) si gioca, mai come oggi, lungo l’asse amico-nemico; voler fare del nemico un avversario, pur sapendo che egli non ci considera affatto così.

Ocone’s cornerla rubrica settimanale di Corrado Ocone, filosofo e saggista. Fonte/ startmag.it  24NOV2019

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